martedì 5 giugno 2012

Affido condiviso: il ddl 957 viola i diritti di donne e bambini, il Senato rispetti le Raccomandazioni ONU

Il giorno 5 giugno 2012 è prevista la ricalendarizzazione alla Commissione Giustizia del Senato, in sede referente, del disegno di legge 957 in materia di affido condiviso.

Questo disegno di legge ha come scopo la modifica della legge n. 54/2006 in materia di affido condiviso.

Sulla dubbia costituzionalità del testo e sulle enormi criticità delle disposizioni che vorrebbe introdurre, si sono già ampliamente espresse, anche in sede di audizione parlamentari, associazioni importanti come l’AIAF e l’OUA.

A me in questa sede interessa evidenziare come già la legge 54/2006, allo stato dei fatti, si presenti come gravemente lesiva dei diritti fondamentali di donne e bambini, ed in particolare presenti profili di illegittimità costituzionale alla luce dell’art. 16 della Convenzione ONU per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione dei confronti della donna (CEDAW).

In particolare, già nel Rapporto Ombra sull’implementazione della CEDAW in Italia redatto con la Piattaforma “30 anni CEDAW: Lavori in corsa”, abbiamo osservato come (e cito integralmente) “l’attuale disciplina sull’affido condiviso, non prevedendo esplicitamente che nei casi di maltrattamento, abuso dei mezzi di correzione, violenze sessuali, violenze fisiche, deve essere escluso l’affido condiviso, da un lato viola i diritti dei minori a una vita libera da ogni forma di violenza, dall’altro non tutela le donne vittime di violenza domestica ed anzi le espone ad un incremento del rischio di violenza da parte dell’ex coniuge a causa della gestione condivisa dei minori imposte dalla legge.

In Italia non è ancora un dato acquisito dai tribunali, dai servizi sociali e dall’opinione pubblica il collegamento diretto tra la violenza subita dalle madri e le gravi conseguenze di tipo psicologico, fisico, sociale e cognitivo sui figli, nel breve e lungo termine. Anche il rifiuto del bambino di incontrare il padre maltrattante o abusante viene spesso interpretato dai giudici e dal servizio sociale come condizionamento psicologico del bambino ad opera della madre (PAS- Parental alienation syndrome).

Il mancato riconoscimento del confine tra violenza di genere e conflittualità coniugale determina la stigmatizzazione della donna che denuncia la violenza subita su di sé o sui propri figli in sede di separazione, poiché ci si aspetta che la donna aderisca alla logica della composizione familiare.

Qualsiasi tentativo da parte della donna di far emergere il vissuto di violenza che ha caratterizzato la vita coniugale viene interpretata dalle difese dei padri separati (nell’ambito dei procedimenti di affido) come una finzione inscenata dalla donna al fine a eludere la legge sull’affido condiviso, motivata dalla sindrome di alienazione parentale”.

Il disegno di legge n. 957, andrebbe ad aggravare questo quadro già di per sé plumbeo.

Sempre citando il Rapporto Ombra:
"Padri e madri hanno entrambi e insieme un ruolo da svolgere verso i loro figli, e sarebbe veramente pericoloso, anche sul piano sociale, se mediante l’approvazione di tale disegno di legge si desse spazio a “guerre di parte” dei padri contro le madri, fondate su motivazioni che riguardano gli aspetti economici della separazione, e non le esigenze dei figli .

Questo disegno di legge, promosso con forza dalle associazioni dei padri separati, se approvato,determinerebbe una condizione della donna separata di sudditanza nei confronti dell’ex coniuge, e della sua famiglia di origine. Infatti la donna per ottenere l’affido condiviso non solo dovrebbe conciliare i propri interessi con quelli dell’ex coniuge, ma anche con quelli dei nonni, ai quali con la nuova legge verrebbe riconosciuta la possibilità di agire in giudizio per affermare il proprio diritto di visita.

Questo significa una ulteriore limitazione per la donna nella scelta del luogo dove radicare la propria vita e i propri interessi dopo la fine del matrimonio.

Inoltre, per mantenere l’assegnazione della casa familiare in caso di affido condiviso, la donna dovrebbe rinunciare a radicare in quella casa una nuova convivenza more uxorio. E’ evidente che questo disegno di legge chiede alla donna, se vuole restare madre affidataria, di rinunciare a ricostruirsi una nuova vita affettiva. L’ex coniuge in questo modo, mediante il ricatto dell’affido condiviso, mantiene di fatto un controllo fortissimo sulla nuova vita della sua ex moglie. Questo controllo, oltre a essere eccessivamente limitativo della sfera di autodeterminazione della donna in condizioni di normalità, costituisce un vero e proprio fattore di rischio di rivittimizzazione per quei casi in cui la donna abbia denunciato l’ex coniuge per violenza e, nel caso lo stesso abbia ottenuto comunque l’affido condiviso, si trovi costretta al suo controllo.

La proposta di legge, qualora approvata, obbligherebbe anche la donna che ha subito violenza ( e l’ha denunciata) a sedersi a un tavolo con il proprio aggressore e contrattare con lui le condizioni dell’affido, perché la mediazione sarebbe obbligatoria anche nei casi in cui la donna ha subito violenza.

Oltre a non prevedere la violenza di genere come causa di esclusione dell’affidamento condiviso, il disegno di legge 957 chiede il riconoscimento della sindrome di alienazione genitoriale (PAS) come causa di esclusione dell’affidamento.

Valutare l'affido dei bambini sulla base di una sindrome non riconosciuta nell'albo psichiatrico, portata avanti in America e ora anche in Italia dalle organizzazioni dei padri separati, significa privare i bambini della possibilità di difendersi nei casi di violenze subite dai padri.

In pratica significa che in qualunque procedimento di affido, se il bambino rifiuta di vedere il padre e se viene denunciato un abuso, un atto di pedofilia o di molestia sessuale, il padre ricorrerà alla PAS per dire sempre e comunque che si tratta di "condizionamento della volontà del minore" da parte della madre.

Con l’ulteriore grave conseguenza che, sulla base della diagnosi di una malattia che non esiste (in quanto non è inserita nel DSM), il giudice, senza poter valutare altri elementi ai sensi dell’art. art. 155 c.c., in violazione delle garanzie costituzionali ex art.111 Cost. , sarebbe costretto ad escludere la donna dalle decisione relativi ai figli e dal diritto di visita nei confronti dei figli”.

In Italia dietro ad un numero significativo di separazioni e divorzi si nasconde l’addio di una donna ad una situazione di maltrattamenti, molto spesso violenze morali ed economiche che i figli hanno sistematicamente subito, assistendovi, che la donna, per una serie svariata di motivi, sceglie di non denunciare.

Di questo pregresso, per quanto non denunciato, si dovrebbe però tenere conto in sede di affidamento dei minori. Spesso non è così.

Anzi, in Italia accade ben di peggio.

Accade che, anche davanti a ex coniugi condannati per reati gravi, quali maltrattamenti ed altre forme di violenza nelle relazioni di intimità, spesso agite nei confronti della partner, ma alle quali sistematicamente spesso hanno assistito anche i figli, assorbendo e subendo i danni di quel clima, i magistrati valutino questi soggetti maltrattanti genitori “adeguati”.

E’ così che, anche davanti al netto rifiuto dei minori, questi vengono comunque obbligati per legge a continuare la convivenza anche con quel genitore del quale evidentemente hanno paura, e che spesso li userà come strumento per continuare indirettamente lo stalking e la violenza psicologica nei confronti della ex.

Tutto questo perché la legge non prevede esplicitamente come causa di esclusione dell’affido condiviso neanche la condanna passata in giudicato di uno dei coniugi per reati che integrano violenza nelle relazioni di intimità (maltrattamenti, stalking ecc.).

Tantomeno alla condanna definitiva per questi reati si associa ex lege la sospensione o la decadenza dalla potestà genitoriale.

Così però dovrebbe essere in un Paese civile, che davvero voglia fare qualcosa di costruttivo e di sensato per prevenire il femminicidio (in aumento quelli commessi nel momento in cui la donna decide di separarsi, spesso con i figli come vittime collaterali) e garantire in concreto il diritto di donne e bambini a una vita libera dalla violenza.

A ricordare alle Istituzioni questa precisa obbligazione assunta attraverso la ratifica della CEDAW (nel lontano 1985) è proprio il Comitato CEDAW, che nella raccomandazione n. 50/2011 rivolta allo Stato italiano si è detto “preoccupato per la mancanza di studi sugli effetti di questo cambiamento legale, in particolare alla luce di ricerche comparative che indichino gli effetti negativi sui minori, specialmente sui bambini più piccoli, in caso di imposizione dell’affido condiviso”. Il Comitato inoltre ha espresso la propria preoccupazione “per il fatto che, nell’ambito dei procedimenti relativi all’affido condiviso, in caso di presunti episodi di abuso sui minori, possano essere prodotte consulenze basate sulla dubbia teoria della Sindrome da Alienazione Parentale”.

Il Comitato CEDAW nell’Osservazione conclusiva n. 51/2011 ha chiesto all’Italia di “valutare le modifiche normative in materia di affido condiviso dei minori, attraverso studi scientifici, al fine di valutare gli effetti di lungo termine sulle donne e sui minori, tenendo in considerazione l’esperienza registrata negli altri Paesi su queste problematiche”.

Peraltro l’Italia ha firmato la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla Prevenzione e la Lotta alla Violenza nei confronti delle donne e sulla Violenza Domestica, che, quando verrà ratificata, imporrà alle Istituzioni italiane, ai sensi dell’art. 31, sia l’adozione di le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che l'esercizio dei diritti di visita o di custodia dei figli non comprometta i diritti e la sicurezza della vittima o dei bambini, sia di garantire che, al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza nei confronti delle donne e di violenza domestica.

E allora noi società civile dobbiamo pretendere con fermezza che il Parlamento rispetti le Raccomandazioni ONU ed i principi e le linee guida sancite a livello internazionale circa la protezione di donne e minori in fase di separazione e divorzio.

Due di questi sono imprescindibili: divieto assoluto di mediazione nelle ipotesi di violenza nelle relazioni di intimità, esclusione dall’affido del genitore condannato con sentenza passata in giudicato per fatti di violenza nei confronti dell’altro coniuge.

Sulla riforma della legge sull’affido condiviso in senso garantista di questi principi dovrebbe discutere il Senato, e non certo su di un disegno di legge che introdurrebbe ulteriori e più gravi elementi di rivittimizzazione secondaria nei confronti di donne e minori, in aperta violazione di quelle raccomandazioni CEDAW cui i parlamentari avrebbero invece il dovere di dare attuazione.

La Piattaforma CEDAW, i Giuristi Democratici e la società civile tutta dobbiamo mantenere alta l’attenzione per evitare che, nel più totale disinteresse istituzionale per il numero crescente di femminicidi che riempie le pagine di cronaca, attraverso l’adozione di questo disegno di legge si consumi l’ennesima forma di femminicidio istituzionale, che avrebbe ricadute dirette e gravissime sulla situazione di migliaia di donne e bambini.


05.06.2012
Avv. Barbara Spinelli
Giuristi Democratici – Piattaforma “Lavori in corsa: 30 anni CEDAW”

 
LINK

Il testo delle Raccomandazioni CEDAW all’Italia

Il Rapporto Ombra presentato all’ONU dalla Piattaforma “Lavori in corsa: 30 anni CEDAW” (pp.108-110)

Il disegno di legge 957 in discussione al Senato
Il testo
I documenti acquisiti
L’iter legislativo